La depressione
“Il dio degli antichi chiedeva l’obbedienza, il dio dei moderni chiede la riuscita, il successo”
Il termine depressione da un punto di vista lessicale indica un avvallamento del terreno o una diminuzione della pressione atmosferica; dal punto di vista dell’umore indica invece la rottura di un equilibrio che implica una caduta verso il basso.
L’umore depresso lo troviamo descritto nei testi più antichi. Nella Bibbia per esempio ci sono vari esempi di personaggi depressi. Elia dice ” Non ne posso più, Signore toglimi la vita”; Giobbe ” Per me non c’è calma né riposo, ma solo tormenti”; Giona ” Sono povero e afflitto, mi sento mancare il respiro, il mio cuore viene meno” e sono solo alcuni esempi. E tra i sette peccati capitali l’ozio, visto come accidia, indolenza, viene chiamato il padre di tutti i vizi, in quanto toglie la voglia di vivere e di agire. Lo stesso Dante mette gli accidiosi nell’inferno, condannati a stare nelle acque paludose dello Stige fino alla bocca , visto che quando erano vivi non avevano saputo apprezzare le bellezze della vita. Il depresso quindi veniva visto come responsabile della propria depressione. E questo capita ancora oggi ” Reagisci, datti da fare, distraiti” Sono parole che il depresso si sente spesso dire. Per moltissimo tempo il sentimento che ha accompagnato la depressione è stato il senso di colpa, è solo in tempi molto più recenti che la depressione si è presentata, prevalentemente, come un senso di fallimento. Possiamo dire che il dio antico chiedeva agli uomini l’obbedienza, mentre quello moderno chiede loro la riuscita, il successo.
Anche il tentativo di razionalizzare i disturbi psichici, e quindi anche la depressione, all’interno di una classificazione che ne consentisse la cura attraverso i farmaci adatti, non è una cosa recente. Sin dai tempi più antichi l’elleboro è stato il rimedio antidepressivo per eccellenza. Ma a tutt’oggi non sempre i farmaci riescono a trattare con successo tutti i tipi di depressione, o meglio tutti i pazienti depressi. La letteratura indica che circa il 10-13% dei disturbi depressivi sono di natura biologica. Nella maggioranza dei casi ciò che sembra accomunare l’insorgere di un quadro depressivo è che qualcosa si rompe nella vita della persona. Qualcosa che ha a che fare con la relazione che la persona ha con se stessa,con gli altri e con il mondo.
Spesso il disturbo insorge in seguito a gravi disturbi d’ansia, attacchi di panico, fobie, ossessioni o problemi relazionali. Sempre però si manifesta con gravi cadute del tono dell’umore verso il basso e con una perdita di interesse nei confronti della vita.
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Come scegliere un bravo psicologo a Cagliari
Come scegliere un bravo psicologo a Cagliari
Quali sono i passi da fare per scegliere lo psicologo o lo psicoterapeuta il più possibile adatto alle proprie problematiche?
Innanzitutto è possibile rivolgersi alle strutture pubbliche presenti nel territorio. Ma l’accesso a questi servizi non è sempre facile. Le liste d’attesa sono spesso molto lunghe e questo può ritardare, anche di molto, gli interventi. Inoltre non è possibile scegliere uno psicologo specifico, in quanto questo viene assegnato in base alla disponibilità del momento.
È bene sapere che l’ordine degli psicologi nazionale e regionale pubblica l’elenco di tutti gli iscritti all’albo. Questo, oltre ad essere un mero elenco, costituisce una garanzia a tutela dell’utente. Infatti solo chi è in possesso dei titoli richiesti (laurea quinquennale, tirocinio, esame di stato e se psicoterapeuta scuola di specializzazione quinquennale) può accedere all’albo.
Per avere ulteriori informazioni è anche possibile rivolgersi al proprio medico di base o ad amici fidati che abbiano già effettuato un percorso analogo o che siano ben informati.
Anche internet costituisce un buon canale, esistono siti dedicati, che danno dettagliate informazioni sugli psicologi disponibili nelle vicinanze, sugli approcci da loro seguiti e sulla loro formazione.
A Cagliari, già da anni, esistono scuole per la formazione di psicologi che seguono vari approcci, tra le quali: Scuola di psicoterapia cognitiva, di analisi transaziobale, di terapia familiare e di terapia sistemica.
Lo psicologo è un professionista, con le sue competenze e le sue capacità. Per cui la vera scelta avviene nel setting terapeutico. Nel corso delle prime sedute e a volte già dalla prima, è possibile valutare se si tratta dello psicologo adatto. È il paziente che sceglie il terapeuta e non viceversa.
Un bravo psicologo deve rispettare le regole deontologiche. Innanzitutto è vincolato al segreto professionale, non può raccontare a nessuno quanto gli viene detto nel colloquio terapeutico. La fiducia e la possibilità di potersi aprire costituisce la base fondamentale per una buona terapia. Ci sono pochissime occasioni in cui lo psicologo è tenuto a rivelare i dati emersi in seduta. Si tratta di dati di carattere sanitario o giudiziario, che in concreto possano rappresentare delitti perseguibili. Lo psicologo deve rimanere al di fuori della vita del paziente. Ogni intimità al di fuori della terapia deve essere limitata al massimo. La vita privata del paziente e del terapeuta devono essere il più possibile separate.
Psicologa e psicoterpeuta
Differenze tra la professione dello psicologo e quella dello psicoterapeuta
Lo psicologo e lo psicoterapeuta sono due figure professionali che differiscono tra di loro per il percorso formativo e per la natura dell’attività professionale, nonostante entrambe le professioni si occupino del disagio psichico.
Lo psicologo svolge la sua professione dopo una laurea quinquennale in psicologia, un anno di tirocinio e il superamento dell’esame di stato, necessario per l’iscrizione all’albo degli psicologi. Lo psicologo, per diventare psicoterapeuta, deve inoltre seguire un percorso quadriennale in una scuola di formazione riconosciuta dal Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca (MIUR). Durante questo percorso è anche obbligatorio svolgere 400 ore di tirocinio presso strutture convenzionate.
Per accedere alle scuole per la formazione come psicoterapeuta occorre essere in possesso della laurea in psicologia o in medicina. Anche il medico deve essere regolarmente iscritto al proprio albo professionale.
Lo psicologo può svolgere la sua professione in vari ambiti. Come psicologo clinico si occupa direttamente del disagio mentale; nel settore scolastico affronta le problematiche collegate al disagio scolastico e alla formazione delle figure professionali e come psicologo del lavoro opera per migliorare il funzionamento delle aziende e per la selezione del personale. La differenza sostanziale tra lo psicologo e lo psicoterapeuta è che solo quest’ultimo è abilitato a fare la psicoterapia, sia che essa sia individuale, di coppia, familiare o di gruppo. Nonostante lo psicoterapeuta, per poter svolgere la professione, debba frequentare un lunga scuola di specializzazione, il confine che separa la figura dello psicologo da[i] quella dello psicoterapeuta non è sempre chiaro. Lo psicologo clinico infatti può eseguire una diagnosi utilizzando il colloquio e strumenti diagnostici quali per esempio i test di personalità e i questionari. La differenza tra i due profili professionali risulta poco chiara, anche perché lo psicologo è legalmente abilitato a ” utilizzare strumenti di intervento per la riabilitazione in ambito psicologico”. Questa definizione si discosta ben poco da quello che contraddistingue un intervento psicoterapeutico. Forse ciò che differenzia veramente le due figure professionali è, in ultima analisi, la possibilità per lo psicoterapeuta di iscriversi all‘albo degli psicoterapeuti, possibilità preclusa a chi è in possesso del solo titolo di laurea quinquennale.
Né lo psicologo, né lo psicoterapeuta possono prescrivere farmaci, in quanto questi possono essere prescritti solo dai medici.
Ansia e attacchi di panico
I disturbi d’ansia e gli attacchi di panico sono considerati come l’espressione di un’emozione uscita fuori dal controllo del soggetto.
Occorre però effettuare una distinzione tra ansia, paura, fobie e attacchi di panico, in quanto spesso nel parlare comune queste parole vengono usate in maniera intercambiabile. Innanzitutto l’ansia può essere distinta dalla paura in quanto quest’ultima implica la valutazione cognitiva di uno stimolo minaccioso. L’ansia invece riguarda la risposta emotiva a quella valutazione. Quindi è l’ansia e non la paura ad attivare una varietà di sintomi eccessivi attribuibili al sistema nervoso autonomo. Anche la fobia, come la paura, si riferisce ad un oggetto specifico (luoghi alti, animali,spazi chiusi, ecc.) e il soggetto è preoccupato delle conseguenze che ne possono scaturire. Quando la paura o la fobia vengono attivate in maniera abnorme o eccessiva, possono insorgere ansia o panico. D’altro canto anche l’ansia, come la paura, rappresenta una delle strategie utilizzate dall’essere umano, e in quanto tale utile, per fronteggiare un pericolo atteso, come per esempio una prova importante. Per questo non è semplice tracciare una linea di demarcazione netta tra ansia “normale” e ansia patologica. Quando l’ansia diviene pervasiva intacca la capacità di passare flessibilmente da una operazione ad un’altra, impedendo di trovare strategie adatte alla situazione, cosicché l’individuo rimane impegnato in una posizione di evitamento e di fuga, anche quando il pericolo è inesistente o oramai trascorso.
Come già detto la paura gioca un ruolo molto importante nell’innescare l’ansia, come per esempio la paura di essere incompetenti, la paura di sembrare incompetenti e la paura di perdere il sostegno di figure importanti e significative.
I disturbi d’ansia sono stati così classificati ( “L’ansia e le fobie” A. Beck e G. Emery ed. Astrolabio):
▪ disturbi da attacchi di panico
▪ disturbo da ansia generalizzata
▪ disturbo post traumatico da stress
▪ disturbi fobici
▪ Agorafobia
▪ fobia sociale
Qui di seguito descriverò più nel dettaglio cosa si intende per attacco di panico.
La caratteristica fondamentale degli attacchi di panico è la loro imprevedibilità e che sono associati ad una pervasiva sensazione di una catastrofe imminente. I sintomi che accompagnano gli attachi di panico non sono molto diversi da quelli propri dell’ansia, ma ciò che li rende specifici è proprio l’imprevedibilità e la loro insorgenza repentina, fattori che non rendono facilmente associabile ciò che la persona prova con l’evento in corso. È proprio questa mancata associazione che fa sì che l’attacco di panico si manifesti ogni volta come un’esperienza di un’intensità inaudita, spiacevole e singolare. La caratteristica dell’attacco di panico è che la persona ha la sensazione di essere sommersa da un’ansia incontrollabile, che viene descritta come “un dolore insopportabile” e “la peggiore esperienza che si possa immaginare”. Le paure di perdere il controllo, di impazzire o di morire, sono tra le più frequenti e drammatiche. Gli attacchi di panico coinvolgono il sistema parasimpatico e colinergico, dando luogo a svenimenti e debolezza generalizzata,associata a sudorazione, tachicardia, iperventilazione, tutti sintomi che accrescono la sensazione di perdita di controllo o di morte imminente. Il paziente deve quindi essere addestrato a riconoscere le sensazioni fisiche non appena insorgono, affinché non raggiungano l’intensità che finisce per scatenare l’attacco di panico. Quello che va interrotto è il circolo vizioso che si instaura tra i sintomi devastanti, la convinzione della propria debolezza e la sensazione di perdita di controllo. Il loro rinforzo reciproco è ciò che rende l’attacco di panico tanto potente e devastante.
Per quanto riguarda il trattamento farmacologico dell’ansia e degli attacchi di panico, si è constatato che il Valium ha effetti sull’ansia generalizzata, ma non agisce sulle reazioni fisiologiche, quali tachicardia, debolezza, ecc; viceversa i betabloccanti mentre riducono i tremori e la tachicardia, non producono nessun effetto sull’ansia generalizzata.
Psicoterapia breve
Psicoterapia breve
Vantaggi di una psicoterapia breve
Nella mia attività professionale, che esercito nel mio studio di Cagliari, sono previsti cicli di psicoterapia breve. I percorsi brevi consentono, a coloro che si trovano in condizioni economiche disagiate, o che non si sentono, per qualunque motivo, di affrontare una terapia di lungo periodo, di portare a termine un intero percorso terapeutico. In questi casi i percorsi lunghi possono essere addirittura iatrogeni e quindi assolutamente da sconsigliare.
Qui di seguito parlerò dell’importanza che ha nelle psicoterapie brevi la costruzione dell’alleanza terapeutica.
A partire dagli anni ’70, a prescindere dal modello di terapia seguito, il focus è stato posto sulla relazione e quindi sulla costruzione di una buona alleanza terapeutica.Gli elementi che più sembrano contribuire alla costruzione di una buona alleanza sono: a) il legame affettivo tra paziente e terapeuta. b) L’mpegno a proseguire la terapia. c) La comunicazione empatica del terapeuta. d) L’accordo a perseguire un obiettivo, che deve essere: chiaro, concreto e raggiungibile. e) Definire i ruoli che le parti coinvolte devono rispettare. Questi presupposti diventano ancora più importanti se si intende effettuare una psicoterapia breve. Questo perché sia il tempo per la costruzione dell’alleanza, che quello per rimediare ad eventuali errori è ovviamente più limitato.
Nella terapia breve, che in genere ha una durata di venti sedute, è perciò importante che: 1) Venga individuato celermente e con precisione il focus problematico. 2) Le strategie e le tattiche seguite siano il più possibile correlate alle caratteristiche e ai bisogni di quel particolare paziente e alla fase del trattamento . 3) Il paziente sperimenti la relazione terapeutica come sicura e di sostegno. 4) Il terapeuta sia flessibile e sappia rispondere costruttivamente a ogni circostanza che emerge nel corso del trattamento. Naturalmente il terapeuta prima di decidere per un ciclo di psicoterapia breve deve valutare attentamente la profondità e la gravità delle problematiche presentate, e ponderare i costi e i benefici di un tale percorso.
Quali sono i criteri di esclusione e di inclusione per essere adatti ad un percorso di terapia breve? I pazienti che si rivelano più adatti sono coloro che hanno un Io significativamente strutturato. Cioè che non presentano gravi disturbi rispetto all’analisi della realtà, all’impulsiva e che sono in grado, in varie occasioni, di essere riflessivi, di tollerare la frustrazione e che fanno affidamento su difese adattive e che tuttavia mostrano serie difficoltà nell’affrontare la vita quotidiana, sopratutto a livello lavorativo e relazionale. Possiedono inoltre una qualche capacità di vedere le connessioni esistenti tra il presente e il passato e di farsi accompagnare nel percorso di esplorazione. Per intraprendere una psicoterapia breve è necessario che i pazienti siano motivati e disposti a partecipare attivamente al percorso di psicoterapia. Perché questo percorso abbia successo, in tempi brevi, sia terapeuta che il paziente devono assumere una posizione attiva. Infatti nei percorsi più lunghi la psicoterapia può essere varie volte reindirizzata e ridecisa. Nelle psicoterapie brevi è indispensabile che sia il terapeuta che il paziente abbiano ben chiari gli obiettivi da raggiungere a breve termine e si sentano motivati a perseguirli. Le trasformazioni più profonde invece, se il paziente lo vorrà, saranno rimandate ad un percorso che prevederà tempi più lunghi.
Sintomi della depressione
Sintomi della depressione
I dati epidemiologici evidenziano come la depressione sia il disturbo psicologIco più diffuso al mondo. Qui di seguito illustro i sintomi con cui la depressione si manifesta e su cui è importante vigilare per tempo.
I sintomi della depressione sono:
▪ tristezza e umore depresso per la maggior parte del giorno;
▪ ridotta capacità di provare piacere in attività che un tempo procuravano piacere, gioia e soddisfazione;
▪ senso di fatica e di non farcela nello svolgimento delle attività quotidiane;
▪ sensazione di fallimento, di colpa, autocritica;
▪ pianto e mancanza di speranza;
▪ idee di morte, pensieri negativi;
▪ irritabilità;
▪ difficoltà a concentrarsi e a prendere decisioni;
▪ sonnolenza
▪ difficoltà a prendere sonno, incubi;
▪ inappetenza o eccessiva assunzione di cibo;
▪ ridotto desiderio sessuale.
Perché ci sia una diagnosi di depressione non è necessario avere tutti i sintomi sopra elencati, ma, quando sono presenti, devono presentarsi in maniera frequente e pervasiva, anche perché la depressione può presentarsi con diversi livelli di gravità. I sintomi depressivi possono sopraggiungere in seguito ad eventi di vita particolarmente stressanti, legati prevalentemente ad una perdita (depressione reattiva), ma la depressione maggiore può insorgere anche senza nessuna causa apparente. Quanto più la forma è grave, tanto più sono i sintomi implicati. Inoltre chi ha già avuto un episodio depressivo ha più probabilità di presentare nuovi episodi depressivi nel corso della vita.
Sintomi fisici:
perdita di energia, affaticamento, disturbi della memoria e dell’attenzione, nervosismo e agitazione motoria, perdita o aumento di peso, insonnia o ipersonnia, diminuito desiderio sessuale, irritabilità, ansia, pianto.
Emozioni tipiche della depressione sono: tristezza, disperazione, angoscia, senso di colpa, perdita di interesse, irritabilità.
Sintomi cognitivi:
ruminazione mentale, aspettative irrealistiche, standard eccessivi, regole rigide, ideazioni suicidarie.
A tal proposito A. Beck ha parlato di triade cognitiva, la quale comprende una concezione negativa di sé, degli altri e del mondo e che conduce, attraverso pensieri automatici negativi, ad amplificare gli aspetti negativi e a minimizzare quelli positivi.
Sintomi comportamentali:
difficoltà nelle attività quotidiane, difficoltà a strutturare il tempo, evitamento sociale, passività, tentativi suicidari.
Può capitare a tutti di sentirsi un po’ giù, ma ciò non significa che si ha bisogno di un trattamento. Per fare una diagnosi di depressione è necessaria la presenza di più sintomi, che durano nel tempo (almeno sei mesi). La concomitanza di più sintomi e la loro pregnanza sono predittivi di un disturbo depressivo più grave, poiché i sintomi descritti producono un effetto rinforzante gli uni sugli altri. Per esempio quanto più una persona evita di fare, tanto più aumenta il suo senso di colpa e di inadeguatezza e con l’aumentare di questi aumenta anche la disperazione, e così via, producendo un circolo vizioso,che nei casi più gravi, può condurre al suicidio.
È possibile riscontrare sintomi depressivi anche in altre patologie psicologiche, pertanto è importante effettuare un buona diagnosi differenziale, per poter effettuare una corretta terapia.
Terapia di coppia Cagliari
Terapia di coppia a Cagliari
Molte coppie in crisi, prima di giungere alla dolorosa decisione di lasciarsi, soprattutto in presenza di figli, decidono di intraprendere una terapia di coppia. Io svolgo la terapia di coppia nel mio studio di Cagliari.
In questo articolo intendo dare alcune informazioni che potranno essere utili a coloro che si chiedono se e quanto una terapia di coppia possa essere utile per superare la crisi che stanno vivendo.
Il più delle volte le coppie che chiedono un intervento di terapia non sono di recente formazione, Per cui è importante che vengano informate su come le relazioni cambiano nel tempo. La relazione di coppia nasce con l’innamoramento, che poi col tempo, nel migliore dei casi, si trasforma in un sentimento molto profondo: l’amore. La relazione in tal modo acquisisce basi sempre più solide, ma contemporaneamente può accadere che le emozioni travolgenti dell’inizio sfumino. La convivenza, la gestione dell’economia familiare, la nascita di figli, sono esperienze che inevitabilmente provocano notevoli cambiamenti sia sui partner singoli che sulla relazione. Questi cambiamenti però possono non essere vissuti dai due partner con la stessa intensità e questo può dar luogo ad uno squilibrio molto forte. A volte questo squilibrio può raggiungere una intensità così profonda, da determinare una crisi da cui può essere molto difficile riemergere da soli, ed è allora che può intervenire favorevolmente la terapia di coppia.
Poiché l’unica cosa certa è il cambiamento, una coppia , per riuscire a conseguire un buon funzionamento, dovrà accettare di convivere con un certo grado di instabilità. Le coppie possono essere distinte in quattro sottogruppi : a) coppie stabili e felici b) coppie stabili e infelici c) coppie instabili e felici d) coppie instabili e infelici. La coppia stabile e felice è la più ambita, ma anche la più difficile da costruire. Essa richiede molti buoni compromessi, certo non facili da effettuare. Spesso infatti si sottovaluta quanto, in questi casi, la stabilità sia dovuta al cedimento di uno solo degli elementi della coppia. Questo può creare un’illusione di stabilità, ma non certo felicità. A volte, però, il bisogno di stabilità è così importante che ad esso si può sacrificare la felicità. Pertanto la condizione della coppia instabile ed infelice, proprio perché dolorosissima, può rappresentare la condizione più favorevole per la presa di coscienza del bisogno di aiuto. Ed è qui che la terapia di coppia può essere realmente utile. Ed è secondo questi presupposti che affronto la terapia di coppia nel mio studio di Cagliari. Tutti gli studi dimostrano che non esistono coppie completamente felici, tutte sperimentano un certo grado di frustrazione e anche di infelicità. Tutte sperimentano conflitti, litigi, incomprensioni, rivalità, momenti di tensione. Sono proprio le coppie che appaiono più felici quelle più capaci nel gestire queste situazioni non certo facili. Le coppie in difficoltà hanno invece la tendenza a ritenere le coppie stabili come immuni da qualunque tensione, più fortunate, e non come abili a risolvere situazioni di conflitto. Quando i due partner arrivano in terapia di coppia, e questo al di là di chi sembra sentirne maggiormente l’esigenza, il livello di comunicazione è ormai molto deteriorato. Compito della terapia di coppia sarà proprio far sì che i due partner riprendano ad ascoltarsi, a fidarsi l’uno dell’altro, ad esprimere i propri bisogni, senza utilizzare in maniera sleale ciò che l’uno conosce dell’altro per annientarlo. Le sedute di terapia di coppia, che possono essere settimanali o quindicinali, vengono effettuate nel mio studio professionale di Cagliari.
STRATEGIE TERAPEUTICHE DIALETTICO COMPORTAMENTALI (DBT)
STRATEGIE TERAPEUTICHE DIALETTICO COMPORTAMENTALI (DBT)
Strategie di problem solving
All’interno delle strategie di problem solving possiamo individuare tre livelli di analisi:
Primo livello
A questo livello l’intero programma della terapia dialettico comportamentale viene considerato l’applicazione di una strategia di problem solving, nella quale la vita del paziente rappresenta il problema mentre il trattamento ne costituisce la soluzione.
Secondo livello
Nel secondo livello vengono individuate le procedure che devono essere utilizzate di volta in volta. Queste sono: la strategia di problem solving vera e propria, la strategia di gestione delle contingenze, lo skill training, la modificazione cognitiva e le tecniche di esposizione.
Terzo livello
Nel terzo livello si prendono in considerazione gli eventi problematici che intervengono nella vita quotidiana del paziente. Questi elementi sono desunti dal racconto che il paziente fa degli avvenimenti intercorsi soprattutto nell’ultima settimana e dalle problematiche che emergono nel setting terapeutico e riguarderanno i comportamenti, le emozioni, i pensieri e le risposte messi in atto dal paziente. Il compito del terapeuta è quello di ottenere che il paziente si impegni ad individuare e poi sperimentare nuove possibilità di comportamento che lo aiutino a risolvere i problemi presenti attualmente nella sua vita.
Per poter accedere con successo alle procedure di problem solving è necessario che il paziente possegga: 1) una buona flessibilità cognitiva. Sia cioè capace: a) di scegliere attivamente le strategie più adatte a realizzare i propri obiettivi, b) di adattarsi in maniera attiva all’ambiente in cui vive, c) di risolvere i problemi in modo efficace e creativo. 2) di possedere un tono dell’umore prevalentemente positivo. Questo perché la valutazione soggettiva dei rischi e delle probabilità di successo di una determinata azione è strettamente correlata all’umore presente nel momento in cui viene svolta. Molti studi indicano che la flessibilità cognitiva e il tono dell’umore sono strettamente correlati e che pertanto si condizionano reciprocamente.
Nel corso della terapia dialettico comportamentale il paziente apprende come i suoi comportamenti, anche quelli più disadattivi, sono in effetti delle modalità di problem solving, attraverso le quali lui tenta di dare una soluzione ai propri problemi. In tal modo il terapeuta valida le capacità creative che il paziente dimostra nel mettere in atto strategie di problem solving e contemporaneamente gli rimanda come le soluzioni da lui prese non si siano dimostrate utili e che pertanto occorre trovarne di più efficaci.
Strategie di problem solving
Le strategie di problem solving sono due : 1) strategie di analisi comportamentale, 2) strategie fondate sull’insight.
Qui di seguito esamineremo le strategie di analisi comportamentale.
Nei processi di problem solving possiamo distinguere due stadi. Nel primo si cerca di comprendere e accettare l’esistenza del problema; nel secondo si individuano delle soluzioni valide ed efficaci ai problemi che si presentano.
Nel corso del primo stadio occorre effettuare una attenta analisi comportamentale, prendendo in considerazione la catena degli eventi che hanno preceduto e quelli che hanno seguito il comportamento problematico preso in esame. Nel corso del secondo stadio del problem solving si individuano nuove soluzioni e si valuta come queste potranno essere utilizzate in futuro per affrontare problemi analoghi.
Con l’analisi comportamentale ci si propone: 1) di definire il problema 2) di analizzare le possibili cause 3) di identificare i fenomeni che interferiscono negativamente 4) di individuare gli strumenti utili per risolvere il problema.
Definizione del comportamento problematico
Il terapeuta aiuta il paziente a definire il comportamento problematico, descrivendolo in termini comportamentali, con riferimento alla frequenza, alla durata e all’intensità (natura del problema, quando si è verificato, durata e frequenza, dove e con chi, antecedenti e conseguenze). Insieme al paziente seleziona un episodio specifico nel quale il problema si è presentato, esaminando insieme a lui gli antecedentI, i fatti che costituiscono il problema e le conseguenze . Analizza le emozioni, le sensazioni corporee, i modelli comportamentali e gli schemi di pensiero.
A volte il problema è di natura ambientale, come per esempio una situazione contrassegnata da gravi abusi. Se il paziente è un minore può essere molto difficile per lui riuscire ad allontanarsi dalla situazione nociva. Ma, anche quando la persona è adulta, la capacità di sottrarsi da una situazione di abuso, può essere ostacolata da modelli comportamentali o di pensiero disfunzionali.
Per facilitare una buona descrizione del problema il terapeuta utilizza delle strategie specifiche : a) somministra domande a risposta multipla, b) fa interventi di validazione, c) “legge” le emozioni, d) evidenzia gli atteggiamenti di autocritica, senza tuttavia invalidare, e) rispecchia le emozioni e i pensieri espressi dal paziente.
Analisi della catena comportamentale
Nell’analisi della catena comportamentale si prende in considerazione la situazione problematica e fatti che la precedono e quelli che la seguono. Paziente e terapeuta si concentrano su un episodio specifico nel quale emerge il comportamento preso in esame. Per la scelta dell’episodio si considerano: la gravità, la pregnanza, il grado di chiarezza dei ricordi, la disponibilità a parlarne, la ricaduta su altri eventi.
Per prima cosa si verifica quando il problema ha iniziato a presentarsi e cosa ha alimentato la catena degli eventi. Le domande tipiche sono: “Come sono iniziate le cose?”, “Cosa stava succedendo quando sono iniziate le cose?” ” E poi cosa è successo? “. Il terapeuta gioca il ruolo dello spettatore ingenuo, non interpreta, non fa supposizioni, quello che fa è porre domande e ascoltare. Per cui si parte da una situazione difficile, la si descrive in tutte le sue parti, si esamina la soluzione adottata dal paziente e si verifica la sua efficacia nella risoluzione del problema. Attraverso il processo di problem solving terapeuta e paziente individuano soluzioni più adatte e accessibili.
Una efficace analisi comportamentale richiede che emerga la natura obiettiva dei fatti: a) la loro rilevanza soggettiva e la risonanza emotiva con cui vengono vissuti ( emozioni, percezioni somatiche, azioni, immagini mentali, pensieri, assunti, aspettative ), b) gli effetti che i comportamenti del paziente producono sul suo ambiente e sulle sue relazioni.
Dopo che il terapeuta e il paziente hanno svolto per varie volte l’analisi della catena dei comportamenti, dovrebbero essere in grado di formulare delle ipotesi sulla natura del problema e di individuare ciò che si presenta con maggiore frequenza. Questo processo permette al paziente di migliorare le sue capacità riflessive (su di sé, sugli altri e sugli eventi), capacità, che a loro volta, gli consentiranno di evitare quei comportamenti impulsivi che tanto hanno contribuito al suo disagio personale e relazionale.
Adolescenti, percorrere il sentiero di mezzo.
INTERVENTO TERAPEUTICO PER ADOLESCENTI CON DISTURBI PSICHICI E COMPORTAMENTALI LEGATI ALLA DISREGOLAZIONE EMOTIVA
Terapia dialettico comportamentale (DBT)
Percorrere il sentiero di mezzo
Il modulo percorrere il sentiero di mezzo è stato sviluppato per gli adolescenti e le loro famiglie.
I problemi che questo modulo vuole affrontare sono la polarizzazione, il pensiero non dialettico e i pattern adolescenziali esperiti da famiglie con adolescenti disregolati emotivamente e con comportamenti difficili.
Questo modello discute anche su come la genitorialità autorevole sia la più indicata per un salutare adattamento dei bambini e dei ragazzi.
L’autorevolezza comprende una ferma disciplina con ruoli chiari, essere attenti e flessibili e usare uno stile democratico che consenta la discussione e la negoziazione entro limiti ragionevoli.
In questo modulo, dove sono presenti i ragazzi con i loro genitori, bisogna stare attenti a non dare troppo spazio ai genitori. Occorre chiedere continuamente ai ragazzi cosa pensano e quali idee hanno un impatto su di loro.
In questo modulo si insegna agli adolescenti e ai genitori a mettersi l’uno nei panni dell’altro, a cogliere qual è il nocciolo della verità nella posizione dell’altro.
Questo modulo è diviso in tre parti:
- 1 Insegnamento dei principi della dialettica: bilanciamento tra accettazione e cambiamento attraverso il camminare nella via di mezzo
- 2 Validazione : lavorare per l’accettazione
- 3 cambiamento del comportamento : lavorare per il cambiamento
Innanzitutto occorre orientare i clienti alla dialettica. Consegnare la scheda dove sono indicati i presupposti per un pensiero dialettico. Si invitano i partecipanti a descrivere se stessi per vedere se si vedono in maniera rigida o flessibile.
Si insegna a pensare alla possibilità che molti punti di vista possono essere veri anche se rappresentano polarità opposte.
A questo proposito il leader può disegnare un burrone sulla lavagna con un genitore su un lato e il ragazzo sull’altro. Può portare un esempio di conflitto gestito in maniera rigida, proponendo un classico conflitto che ogni genitore e adolescente affronta quasi inevitabilmente e che riguarda l’orario di rientro la sera.
La prima fase è spesso governata dal pensiero emotivo e come si sa la mente emotiva se lasciata sola tende ad agire per estremi o bianco o nero o giusto o sbagliato o io o tu.
Ma noi sappiamo anche che la verità comune è che gli adolescenti vogliono tornare tardi per stare con gli amici per sentirsi grandi, autonomi e maturi.
Ma sappiamo anche che la verità comune per i genitori è che desiderano che i figli stiano bene, non usino droghe, non facciano sesso, non bevano ,non abbiano incidenti.
Una volta che queste verità sono espresse e poi validate è utile vedere come entrambe possano essere onorate trovando una via di mezzo. La via di mezzo è qualcosa di più di un compromesso, essa deriva dall’ascolto e dalla validazione della posizione dell’altro.
Dove valutazione non significa semplicemente essere d’accordo, ma capire le ragioni dell’altro.
Ma come si fa ad uscirne fuori?
ancora una volta una sintesi dialettica tra accettazione e cambiamento conduce al sentiero di mezzo.
Prendiamo come esempio il caso di una ragazzina che si innamora di un ragazzo più grande di lei. La madre è molto preoccupata, ha paura che possa restare incinta, la rimprovera e le impedisce di uscire. Il conflitto si acuisce la ragazza scappa, allora la madre si rassegna, ma la sua preoccupazione rimane. La madre allora decide di parlare con la figlia dei sistemi anticoncezionali.
La dialettica ci insegna numerosi e importanti punti di vista
- 1 C’è sempre più di un modo per vedere una situazione non esiste una verità assoluta. La verità evolve nel tempo.
- 2 Ogni persona è unica ma tutti siamo connessi: una posizione estrema da parte di uno può spingere l’altro verso l’estremo opposto.
- 3 Il cambiamento è l’unica costante.
- 4 Due cose opposte possono essere entrambe vere e per accettare ciò dobbiamo fare ricorso alla mente saggia.
- 5 Occorre onorare gli aspetti della verità in un conflitto senza rinunciare ai propri valori o cercare semplicemente dei compromessi che possono essere dovuti ad un eccessivo cedimento di uno dei due.
Occorre quindi passare dal pensiero dicotomico O-O al pensiero entrambi – e.
Affinché ciascuno possa capire le posizioni dell’ altro bisogna imparare a descrivere ciò che si prova e ciò che si desidera. Imparare a vedere tutti gli aspetti di una situazione e vari punti di vista.
Nessuno possiede una verità assoluta bisogna diventare esperti di alternative.
Occorre quindi aprirsi e non aspettarsi che l’altro sappia quello che succede dentro di noi.
Spesso non siamo dialettici neanche con noi stessi. Questo può succedere a causa di forti emozioni come quando lasciamo perdere le piccole cose e poi alla fine esplodiamo per un troppo pieno.
I dilemmi dialettici che i genitori si trovano spesso ad affrontare sono:
- 1 Essere troppo clementi versus essere troppo severi
- 2 comportamenti problematici versus comportamenti tipici degli adolescenti
- 3 forzare l’indipendenza versus favorire l’autonomia
Per il primo dilemma occorre avere le idee chiare e applicarle e allo stesso tempo essere disposti a negoziare su alcuni temi e non esagerare sull’uso delle conseguenze “se non studi sarai un fallito nella vita”.
Per il secondo dilemma occorre riconoscere quando un comportamento oltrepassa il limite e c’è bisogno di aiuto e allo stesso tempo riconoscere che certi comportamenti sono tipici dell’adolescenza.
Per il terzo dilemma dare indicazioni sostegno e istruzioni all’adolescente per aiutarlo a capire come comportarsi e allo stesso tempo gradatamente dare maggiore libertà e autonomia pur continuando a sostenere una quantità adeguata di dipendenza dell’adolescente dagli altri.
Le regole non sono delle griglie ma delle cornici.
Occorre descrivere quali comportamenti sono tipici dell’adolescenza da quelli che sono causa di preoccupazione.
Imparare a validare è un esercizio fondamentale per la gestione dei conflitti. Validare significa comunicare all’altra persona che i suoi sentimenti i suoi pensieri e le sue azioni hanno senso e sono comprensibili in una determinata situazione. Come già detto valutare non significa essere d’accordo.
Validare significa che stiamo ascoltando, che abbiamo capito, che siamo non giudicanti, che ci preoccupiamo per la relazione, che possiamo dissentire senza sottrarre l’amore.
Per esempio si possono non validare i comportamenti e nello stesso tempo validare i sentimenti come “capisco che sei arrabbiato ma distruggere la porta a calci non va bene”
A volte si può essere non dialettici e non validanti anche rispetto a se stessi. Occorre quindi applicare questi principi anche con se stessi.
Il rinforzo positivo costituisce un ottimo strumento di validazione. Occorre rinforzare ogni comportamento positivo quando è un indice di un cambiamento seppur minimo.Non è mai troppo poco.
Mostrare interesse per anche il più piccolo cambiamento positivo è un ottimo esercizio per il rafforzamento dell’autostima.
Non si potrà mai sottolineare abbastanza come il cambiamento dipenda dall’esercizio , dall’esercizio e ancora dall’esercizio.
Possono essere usate anche le punizioni ma sempre con parsimonia e come ultima risorsa ed è importante che siano sempre commisurate a ciò che è accaduto.