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LA PIPA DI BAMBÙ

LA PIPA DI BAMBÙ – Una storia Zen che ci ricorda che tutto ha una causa

Quando era un giovane studente di Zen, Yamaoka Tesshu andava sempre a trovare tutti i maestri. Andò a far visita a Dokuon di Shokoku. Volendo mostrare la sua preparazione disse: “La mente, Buddha e gli esseri senzienti in fondo non esistono. La vera natura dei fenomeni è il vuoto, non c’è nessuna realizzazione, nessuna illusione, nessun messaggio, nessuna mediocrità. Non c’è nessuno che dia e niente che si riceva”. Dokuon, che stava fumando in silenzio, non fece commenti. Tutt’a un tratto colpì  Yamaoka con la sua pipa di bambù. Questo fece arrabbiare moltissimo il giovane. “Se niente esiste” domando Dokuon “da dove viene questa tua collera?”.

Il vuoto non esiste. Lo sosteneva Buddha e lo conferma la fisica contemporanea. Quello, che un tempo si chiamava spazio vuoto e che veniva riempito dalla materia, ora sappiamo che nell’accoglierla si piega. E con esso si piega il tempo. Niente esiste che non abbia una causa. Ogni cosa è condizionata da tutte le altre. I fattori di vulnerabilità o di sicurezza condizionano il modo in cui interpretiamo gli eventi e di conseguenza i nostri comportamenti. Noi non possiamo sapere se la collera di Yamaoka fosse dovuta all’orgoglio ferito o al dolore per il colpo subito o a qualcos’altro.  Quello che sicuramente sappiamo è che la collera è stata preceduta dal colpo di pipa infertogli da Dakuon. La sfida è dare un senso a  questo legame che prende origine dai fatti, uguali per tutti, diversi per ognuno.

La consapevolezza costante

La consapevolezza costante – Una storia sull’importanza dell’essere consapevoli

Nessuno studioso di Zen oserebbe insegnare ad altri se non dopo aver vissuto con il proprio maestro per almeno dieci anni. Tenno essendo trascorsi i suoi dieci anni di tirocinio divenne insegnante. Un giorno andò a far visita al maestro Nan – In. Era un giorno di pioggia e Tenno portava degli zoccoli di legno e un ombrello. Quando Tenno entro Nan – In gli disse: “Hai lasciato gli zoccoli di legno e l’ombrello sotto il portico non è vero? Dimmi dove hai messo l’ombrello a destra o a sinistra degli zoccoli?”. Tenno non seppe rispondere e si confuse. Capì che non era stato capace di praticare la consapevolezza costante. Così divenne allievo di Nan-In e studiò per altri dieci anni per raggiungere la consapevolezza costante.

Nan-In ci fa riflettere sull’importanza della consapevolezza, poiché gran parte del benessere presente nella nostra vita dipende dall’essere consapevoli.  Erroneamente pensiamo che la consapevolezza sia fonte di dolore e di insoddisfazione. Essere consapevoli non significa essere informati, sapere, conoscere, come la nostra cultura tende a farci credere. Si può essere colti senza essere saggi, mentre non si può essere consapevoli se non si è saggi. Come si impara ad essere saggi? Nan-In ci dice che prima di tutto dobbiamo imparare a prestare attenzione a  ciò che facciamo,  non  solo alle cose che riteniamo importanti, ma a tutti quei gesti quotidiani che passano inosservati e che eppure costituiscono gran parte della nostra vita. Camminiamo, mangiamo, beviamo, comunichiamo, il più delle volte senza prestare attenzione. Il maestro Zen ci raccomanda di non farci abbagliare da ciò che è straordinario, ma di vivere con stupore, rispetto e attenzione ogni attimo della nostra vita.

Collera. (Disregolazione emotiva – impulsivita’)

Collera. (Disregolazione emotiva – impulsivita’)

Uno studente di Zen andò da Bankei e gli espose il suo problema. ” Maestro io ho certe collere irrefrenabili. Come posso guarirne?”. “Hai qualcosa di molto strano davvero” disse Bankei, fammi vedere di che si tratta”. “Beh così su due piedi non posso fartelo vedere” rispose l’altro. “Quando potrai farmelo vedere?” domandò Bankei. “Salta fuori quando meno me lo aspetto” rispose lo studente. “Allora” concluse Bankei “non deve essere la tua vera natura. Se lo fosse, potresti mostrarmelo in qualunque momento. Quando sei nato non l’avevi e non te l’hanno dato i tuoi genitori. Pensaci un po’ sopra”.
(“101 storie Zen” Adelphi editore)
Quante volte ci siamo sentiti dire questa frase e quante volte l’abbiamo detta noi? Suona così ” Io sono fatto così, non posso farci niente”. Ora, se è vero che il carattere è una componente essenziale nella personalità di ciascun individuo, è anche vero che non esiste un comportamento senza una causa. Il temperamento non è qualcosa da cui si possa “guarire”. Ciò che può essere “curato” è il comportamento, il modo di reagire agli eventi. Il comportamento non salta fuori quando meno lo si aspetta, ma è sempre determinato da ciò che lo precede e dai fattori di vulnerabilità personali. Il maestro contrasta il concetto di “naturalità “, nel caso in cui sia possibile una scelta. Un cieco non può scegliere di vedere, ma può scegliere di non essere arrabbiato per questo.

LA BUCA – Una meditazione sull’ostinazione

LA BUCA – Una meditazione sull’ostinazione

Cosa accade quando ci ostiniamo a  percorrere una strada che non  funziona, che non porta a  niente di buono e che anzi ci  fa soffrire e vivere una vita non degna di essere vissuta? Cosa accade se ci rifiutiamo di accettare quello che non può essere cambiato, e contemporaneamente non facciamo nulla per cambiare ciò che può essere cambiato? Propongo un esercizio di mediazione intitolato “La buca” tratto dal libro  “ACT” di Hayes, Strosahl e Wilson ed. Cortina

“Ti propongo un esercizio mentale in modo da capire meglio la tua situazione. Immagina di trovarti in un campo con una benda negli occhi e di aver ricevuto una piccola borsa degli attrezzi. Ti viene detto che devi andare in giro per il campo con gli occhi bendati. Questo rappresenta il modo in cui immagini di vivere la tua vita. E così fai quello che ti viene detto. Ora a tua insaputa in questo campo ci sono una serie di buche ben distanziate tra loro e abbastanza profonde. Non lo sai, prima di incominciare sei inconsapevole. Quindi cominci ad andare in giro e prima o poi cadi in una buca di grandi dimensioni. TI aggiri a tentoni e quasi sicuramente non riesci ad uscirne.  È  fangoso e scivoloso, non riesci a trovare una via d’uscita. Riesci ad immaginare tutto questo?……… Come ti senti in una situazione del genere? probabilmente sarai scioccato ti sentirai sconvolto, lo sarei anch’io………. dunque immagina di trovarti lì che cosa fai?………… hai la borsa degli attrezzi che hai ricevuto, così forse cerchi di capire cosa contiene. Forse c’è qualcosa che puoi usare per uscire dalla buca. Sei sempre bendato ma ne tocchi il contenuto. C’è uno strumento in questa borsa, ma quello che ti è stato dato è una pala. Ma supponiamo che tu voglia disperatamente uscire dalla buca, che tu abbia cercato per ore di scalare la parete fangosa senza successo, cosa penseresti quando trovi la pala ?………………ti metti a scavare scavi scavi e il terriccio continua a scivolare verso il basso, pensi di fare piccoli gradini ma questi franano e quindi devi scavare di nuovo, cominci a sentirti esausto, sudato, respiri affannosamente. E dopo tutto questo scavare sei sfinito e ti ritrovi ancora più in fondo. Cosa provi? ……….

Possiamo dire che anche tu hai provato a tollerare di vivere nella buca aspettandoti che accada qualcosa di diverso. E non è certo divertente vivere in una buca. Ma se la pala non funziona e ancora non funziona allora è arrivato il momento di fare qualcos’altro magari cambiare programma. Forse potresti anche passare del tempo a chiederti come diavolo sei finita nella buca ma ti accorgi che  anche sapere questo non ti aiuta ad uscire dalla buca. Tutti gli strumenti che usi ti devono aiutare a uscire dalla buca e non ad andare più a fondo. Anche conoscere il passato non serve se non lo si usa per cambiare il presente perché oggi le cose vadano diversamente. Il disagio e la sofferenza sono occasioni per imparare a uscire dalla buca. Essi danno la spinta ad uscire dalla buca, ma per uscirne bisogna ascoltarli, sono loro che ci faranno trovare gli strumenti adatti ad uscirne”.

Psicoterapeuta Cagliari

Una parabola

Una parabola

(Una storia Zen che ci dice che la vita è perfetta così come è )

In un sutra Buddha raccontò una parabola. Un uomo che camminava per un campo si imbatte’ in una tigre. Si mise a correre tallonato dalla tigre. Giunto a un precipizio, si afferrò alla radice di una vite selvatica e si lasciò penzolare oltre l’orlo. La tigre lo fiutava dall’alto. Tremando l’uomo guardo giù, dove in fondo all’abisso un’altra tigre lo aspettava per divorarlo. Soltanto la vite lo reggeva. Due topi, uno bianco e uno nero, cominciarono a rosicchiare pian piano la vite. L’uomo scorse accanto a sè una bellissima fragola. Afferrandosi alla vite con una mano sola, con l’altra spicco’ la fragola. Com’era dolce!

(“101 storie Zen” Adelphi editore)

È  naturalmente molto difficile convincere una persona che sta vivendo un periodo di vita difficilissimo della validità di questo assunto. Eppure come anche ci ha insegnato Viktor  Frankl (“Lettere di un  sopravvissuto. Cosa mi ha salvato dal lager” Rubbettino editore) solo vivendo pienamente il momento che la vita ci riserva, a volte veramente nostro malgrado, possiamo cogliere l’importanza e il significato delle nostre azioni e della nostra presenza. Quando le possibilità di cambiamento, volto al raggiungimento di uno specifico risultato, sono molto ridotte, l’accettazione della realtà può rivelarsi l’unica ed efficace possibilità di realizzare un cambiamento. Questo processo però necessita di uno spostamento dell’obiettivo in modo flessibile ed adatto alle circostanze.

Il dolore fa parte del vivere

Rifiutare la realtà non serve a  cambiarla

Rifiutare la realtà trasforma il dolore in sofferenza

L’accettazione  può condurre alla tristezza, ma solitamente ne segue una profonda calma.

 

Psicologa Cagliari

La tazza da te

Una tazza di tè .

(Una storia Zen che parla di come sgombrare la mente da pregiudizi, congetture, convinzioni)

Nan-in, un maestro giapponese dell’era Meiji (1868-1912), ricevette la visita di un professore universitario che era andato da lui per interrogarlo sullo  Zen. Nan-in servì il tè.  Colmò la tazza del suo ospite e poi continuò a versare.  Il professore guardò traboccare il tè, poi non riuscì più a  contenersi.  “È ricolma non ce ne entra più!”. “Come questa tazza, ” disse Nan-in “tu sei ricolmo delle tue opinioni e congetture. Come posso spiegarti lo Zen , se prima non vuoti la tua tazza?”

(101 storie Zen – Adelphi edizioni )

La  mindfulness insegna a bilanciare la mente del fare con la mente dell’essere. Un corretto bilanciamento consente la formazione e la crescita della mente saggia.

La mente del fare è  quella che discrimina, è ambiziosa, è orientata agli obiettivi e quindi al futuro.

La mente dell’essere è curiosa, del nulla-da-fare ed è orientata al presente.

La mente saggia è in equilibrio tra fare ed essere, segue il sentiero di mezzo.

La mente del fare e la mente dell’essere, quando agiscono l’una all’insaputa dell’altra, tendono a  diventare dominanti ed ingombranti in maniera unilaterale. La prima vede i pensieri come fatti del mondo ed è  focalizzata totalmente sul problem solving e sul conseguimento dei risultati. La seconda vede i pensieri come sensazioni della mente. L’aspetto emotivo è dominante rispetto a quello razionale. Non essendo interessata al lungo termine, si focalizza sull’unicità di ogni istante, lasciando andare la concentrazione sugli obiettivi.

La mente saggia, quindi deve farsi spazio, come il tè nella tazza, ma nel farlo non annienta la mente del fare né quella dell’essere, trova la giusta proporzione. Essa è  infatti equilibrio tra il fare e l’essere, è  dialettica, si muove continuamente tra l’accettazione e il cambiamento.  Usa mezzi efficaci e, pur essendo interessata al raggiungimento degli obiettivi, non li segue a tutti i costi, eppure si dedica completamente nell’adoperarsi per raggiungerli.

 

 

LA STRADA FANGOSA – IL TRAUMA

LA STRADA FANGOSA – ( Una storia Zen che descrive il trauma)

Una volta Tanzan ed Ekido camminavano insieme per una strada fangosa. Pioveva ancora a dirotto.  Dopo una curva, incontrarono una bella ragazza, in chimono e sciarpa di seta, che non poteva attraversare la strada. “Vieni ragazza” disse subito Tanzan. Poi la prese in braccio e la portò oltre le pozzanghere.  Ekido non disse nulla finché quella sera non ebbero raggiunto il tempio dove passare la notte.  Allora non poté più trattenersi. “Noi monaci non avviciniamo le donne” disse a Tanzan “e meno che meno quelle giovani e carine, è  pericoloso perché lo hai fatto?”  Tanzan rispose ” la differenza tra me e te è  che io quella ragazza l’ho lasciata là, tu te la porti ancora dietro”. (“101 storie Zen” Adelphi edizioni

Questo racconto illustra in maniera molto chiara e semplice il concetto di trauma. Il trauma ci tiene inchiodati all’evento scatenante e non ci consente di spostarci in uno spazio e in un tempo diversi, i soli che ci consentirebbero di osservare l’accaduto in tutte le sue componenti. Solo distaccandoci dall’evento, e diventando il più possibile osservatori non giudicanti, è possibile esaminare gli antecenti, il fatto in sè e le conseguenze. Un evento (presente) non è  mai chiuso in se stesso, ha un passato (antecedenti ) e ha un futuro (conseguenze). Il presente non è  che un attimo che subito fluisce, che è stato seminato e che a sua volta semina.

 

psicologo cagliari

L’assoggettamento di un fantasma

L’assoggettamento di un fantasma – Una storia Zen che spiega il potere, a  volte distruttivo, della mente

Una giovane moglie si ammalò ed era sul punto di morte. ” Ti amo tanto” disse al marito “che non voglio lasciarti. Non tradirmi con nessun’altra donna. Se lo farai tornerò sotto forma di fantasma e ti darò fastidi a non finire”. Ben presto la moglie morì. Il marito per i primi tre mesi rispetto’ il suo ultimo desiderio, ma poi incontrò un’altra donna e se ne innamorò. Così i due si fidanzarono. Subito dopo il fidanzamento, tutte le notti all’uomo appariva un fantasma che gli rimproverava di non mantenere la sua promessa. E il fantasma era intelligente. Gli diceva per filo e per segno tutto quello che era successo tra lui e la sua nuova fidanzata. Tutte le volte che lui faceva un regalo alla sua promessa sposa, il fantasma lo descriveva in tutti i suoi particolari. Ripeteva persino i loro discorsi e tormentava l’uomo a tal punto che il povero uomo non riusciva a chiudere occhio. Qualcuno gli consigliò di sottoporre il suo problema ad un maestro Zen che viveva nei pressi del villaggio. Ed infine, disperato, il pover uomo andò a chiedergli aiuto. ” La tua prima moglie è diventata un fantasma e sa tutto quello che fai” spiegò il maestro.  ” Qualunque cosa tu faccia o dica, qualunque cosa tu regali alla tua innamorata, il fantasma lo sa, deve essere un fantasma molto saggio. Francamente dovresti ammirare un fantasma del genere. La prossima volta che ti appare vieni a  patti con lei. Dille che è così abile che non puoi nascondere niente e che se risponderà ad una domanda tu le prometterai di rompere il fidanzamento e di restare vedovo”.   “Qual è la domanda che devo farle?” disse l’uomo. Il maestro rispose “Prendi una gran manciata di semi di soia in una mano e se non è  in grado di dirti il numero, saprai che è  soltanto una immaginazione della tua mente e non ti tormentera’ più”. La notte dopo, quando gli apparve il fantasma, l’uomo si mise ad adularla e le disse che lei sapeva tutto.  ‘Infatti” rispose il fantasma ” so che oggi sei andato a  trovare quel maestro di Zen”. ” E visto che sei così brava ” ribatte’ l’uomo ” dimmi quanti semi ho in questa mano!” . Non ci fu più nessun fantasma che rispondesse a  quella domanda.

( “101 storie Zen” Adelphi edizioni)

Questa storia Zen esemplifica in modo semplice ed efficace come la mente possa farci credere quello che lei vuole. L’attività mentale fa parte dell’essere vivi. Essa si manifesta attraverso pensieri, ricordi, emozioni e percezione di sensazioni fisiche. Tutto ciò avviene continuamente, inconsapevolmente e in modo estremamente selettivo. Questa attività selettiva è indispensabile, perché  ci consente di non essere inondati da una quantità di informazioni ingestibile. Purtroppo questa selettività  comporta anche gravi conseguenze, poiché la mente continuamente omette, trascura, imbroglia, sovverte (è un po’come se giocasse a  nascondino con se stessa). Imparare quando seguire ciò che dice la mente  o quando essere consapevoli della propria mente nel qui e ora è una vera sfida per gli esseri umani. Gli esseri umani infatti hanno finito per credere sempre di più al contenuto letterale della loro mente. Ciò che pensano e ciò che è  reale spesso finiscono per  coincidere. (Il filosofo Hegel affermava: “Se una teoria non coincide con i fatti, tanto peggio per i fatti”). Così, per esempio, se una persona pensa e crede di essere debole e incapace, tenderà ad evitere le esperienze o si appoggera’ ad altre persone e in questo modo la sua convinzione di debolezza e di incapacità diventerà ancora più forte e radicata. L’evitamento delle esperienze è un processo chiave nel ciclo della sofferenza ed è così che finiamo per essere sempre più intrappolati nelle storie che ci raccontiamo. L’essere “fusi” con i nostri pensieri e l’evitamento esperienziale non ci consentono di prestare attenzione, in modo flessibile, a ciò che accade nel nostro mondo interno ed in quello esterno, al fine di trovare le modalità più adatte ad affrontare ciò che sta effettivamente accadendo. Come dice Alan Watts “Come gli occhi non possono vedere gli occhi, così i pensieri non possono pensare i pensieri “. Quando lo fanno trasformano i pensieri in oggetti e li trattano come tali. Il pensiero, però, può osservare il pensiero e in tal modo diventare consapevole di esso e di come è in grado di influenzare e di dirigere le scelte, nel bene e nel male. L’obiettivo è diventare capaci di vivere consapevolmente i pensieri come pensieri, i sentimenti come sentimenti, i ricordi come ricordi, le emozioni come emozioni.

 

 

 

Psicoterapeuta cagliari