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LA PIPA DI BAMBÙ

LA PIPA DI BAMBÙ – Una storia Zen che ci ricorda che tutto ha una causa

Quando era un giovane studente di Zen, Yamaoka Tesshu andava sempre a trovare tutti i maestri. Andò a far visita a Dokuon di Shokoku. Volendo mostrare la sua preparazione disse: “La mente, Buddha e gli esseri senzienti in fondo non esistono. La vera natura dei fenomeni è il vuoto, non c’è nessuna realizzazione, nessuna illusione, nessun messaggio, nessuna mediocrità. Non c’è nessuno che dia e niente che si riceva”. Dokuon, che stava fumando in silenzio, non fece commenti. Tutt’a un tratto colpì  Yamaoka con la sua pipa di bambù. Questo fece arrabbiare moltissimo il giovane. “Se niente esiste” domando Dokuon “da dove viene questa tua collera?”.

Il vuoto non esiste. Lo sosteneva Buddha e lo conferma la fisica contemporanea. Quello, che un tempo si chiamava spazio vuoto e che veniva riempito dalla materia, ora sappiamo che nell’accoglierla si piega. E con esso si piega il tempo. Niente esiste che non abbia una causa. Ogni cosa è condizionata da tutte le altre. I fattori di vulnerabilità o di sicurezza condizionano il modo in cui interpretiamo gli eventi e di conseguenza i nostri comportamenti. Noi non possiamo sapere se la collera di Yamaoka fosse dovuta all’orgoglio ferito o al dolore per il colpo subito o a qualcos’altro.  Quello che sicuramente sappiamo è che la collera è stata preceduta dal colpo di pipa infertogli da Dakuon. La sfida è dare un senso a  questo legame che prende origine dai fatti, uguali per tutti, diversi per ognuno.

La consapevolezza costante

La consapevolezza costante – Una storia sull’importanza dell’essere consapevoli

Nessuno studioso di Zen oserebbe insegnare ad altri se non dopo aver vissuto con il proprio maestro per almeno dieci anni. Tenno essendo trascorsi i suoi dieci anni di tirocinio divenne insegnante. Un giorno andò a far visita al maestro Nan – In. Era un giorno di pioggia e Tenno portava degli zoccoli di legno e un ombrello. Quando Tenno entro Nan – In gli disse: “Hai lasciato gli zoccoli di legno e l’ombrello sotto il portico non è vero? Dimmi dove hai messo l’ombrello a destra o a sinistra degli zoccoli?”. Tenno non seppe rispondere e si confuse. Capì che non era stato capace di praticare la consapevolezza costante. Così divenne allievo di Nan-In e studiò per altri dieci anni per raggiungere la consapevolezza costante.

Nan-In ci fa riflettere sull’importanza della consapevolezza, poiché gran parte del benessere presente nella nostra vita dipende dall’essere consapevoli.  Erroneamente pensiamo che la consapevolezza sia fonte di dolore e di insoddisfazione. Essere consapevoli non significa essere informati, sapere, conoscere, come la nostra cultura tende a farci credere. Si può essere colti senza essere saggi, mentre non si può essere consapevoli se non si è saggi. Come si impara ad essere saggi? Nan-In ci dice che prima di tutto dobbiamo imparare a prestare attenzione a  ciò che facciamo,  non  solo alle cose che riteniamo importanti, ma a tutti quei gesti quotidiani che passano inosservati e che eppure costituiscono gran parte della nostra vita. Camminiamo, mangiamo, beviamo, comunichiamo, il più delle volte senza prestare attenzione. Il maestro Zen ci raccomanda di non farci abbagliare da ciò che è straordinario, ma di vivere con stupore, rispetto e attenzione ogni attimo della nostra vita.

Collera. (Disregolazione emotiva – impulsivita’)

Collera. (Disregolazione emotiva – impulsivita’)

Uno studente di Zen andò da Bankei e gli espose il suo problema. ” Maestro io ho certe collere irrefrenabili. Come posso guarirne?”. “Hai qualcosa di molto strano davvero” disse Bankei, fammi vedere di che si tratta”. “Beh così su due piedi non posso fartelo vedere” rispose l’altro. “Quando potrai farmelo vedere?” domandò Bankei. “Salta fuori quando meno me lo aspetto” rispose lo studente. “Allora” concluse Bankei “non deve essere la tua vera natura. Se lo fosse, potresti mostrarmelo in qualunque momento. Quando sei nato non l’avevi e non te l’hanno dato i tuoi genitori. Pensaci un po’ sopra”.
(“101 storie Zen” Adelphi editore)
Quante volte ci siamo sentiti dire questa frase e quante volte l’abbiamo detta noi? Suona così ” Io sono fatto così, non posso farci niente”. Ora, se è vero che il carattere è una componente essenziale nella personalità di ciascun individuo, è anche vero che non esiste un comportamento senza una causa. Il temperamento non è qualcosa da cui si possa “guarire”. Ciò che può essere “curato” è il comportamento, il modo di reagire agli eventi. Il comportamento non salta fuori quando meno lo si aspetta, ma è sempre determinato da ciò che lo precede e dai fattori di vulnerabilità personali. Il maestro contrasta il concetto di “naturalità “, nel caso in cui sia possibile una scelta. Un cieco non può scegliere di vedere, ma può scegliere di non essere arrabbiato per questo.

La depressione

La depressione
“Il dio degli antichi chiedeva l’obbedienza, il dio dei moderni chiede la riuscita, il successo”
Il termine depressione da un punto di vista lessicale indica un avvallamento del terreno o una diminuzione della pressione atmosferica; dal punto di vista dell’umore indica invece la rottura di un equilibrio che implica una caduta verso il basso.
L’umore depresso lo troviamo descritto nei testi più antichi. Nella Bibbia per esempio ci sono vari esempi di personaggi depressi. Elia dice ” Non ne posso più, Signore toglimi la vita”; Giobbe ” Per me non c’è calma né riposo, ma solo tormenti”; Giona ” Sono povero e afflitto, mi sento mancare il respiro, il mio cuore viene meno” e sono solo alcuni esempi. E tra i sette peccati capitali l’ozio, visto come accidia, indolenza, viene chiamato il padre di tutti i vizi, in quanto toglie la voglia di vivere e di agire. Lo stesso Dante mette gli accidiosi nell’inferno, condannati a stare nelle acque paludose dello Stige fino alla bocca , visto che quando erano vivi non avevano saputo apprezzare le bellezze della vita. Il depresso quindi veniva visto come responsabile della propria depressione. E questo capita ancora oggi ” Reagisci, datti da fare, distraiti” Sono parole che il depresso si sente spesso dire. Per moltissimo tempo il sentimento che ha accompagnato la depressione è stato il senso di colpa, è solo in tempi molto più recenti che la depressione si è presentata, prevalentemente, come un senso di fallimento. Possiamo dire che il dio antico chiedeva agli uomini l’obbedienza, mentre quello moderno chiede loro la riuscita, il successo.
Anche il tentativo di razionalizzare i disturbi psichici, e quindi anche la depressione, all’interno di una classificazione che ne consentisse la cura attraverso i farmaci adatti, non è una cosa recente. Sin dai tempi più antichi l’elleboro è stato il rimedio antidepressivo per eccellenza. Ma a tutt’oggi non sempre i farmaci riescono a trattare con successo tutti i tipi di depressione, o meglio tutti i pazienti depressi. La letteratura indica che circa il 10-13% dei disturbi depressivi sono di natura biologica. Nella maggioranza dei casi ciò che sembra accomunare l’insorgere di un quadro depressivo è che qualcosa si rompe nella vita della persona. Qualcosa che ha a che fare con la relazione che la persona ha con se stessa,con gli altri e con il mondo.
Spesso il disturbo insorge in seguito a gravi disturbi d’ansia, attacchi di panico, fobie, ossessioni o problemi relazionali. Sempre però si manifesta con gravi cadute del tono dell’umore verso il basso e con una perdita di interesse nei confronti della vita.

La gita di mezzanotte. ( L’importanza di essere validanti)

La gita di mezzanotte. ( L’importanza di essere validanti)

Molti allievi studiavano meditazione sotto la guida del maestro di Zen Sengai. Uno di questi tutte le notti si alzava scavalcava il muro del tempio e andava a divertirsi in città. Una notte nel fare un giro di ispezione nei dormitori Sengai scoprì l’assenza dell’allievo e trovò anche l’alto sgabello che egli aveva usato per scalare il muro. Quando il nottambulo tornò, non sapendo che Sengai era lo sgabello, mise il piede sul capo del maestro e saltò nel giardino. Non appena scoprì ciò che aveva fatto rimase sgomento. Sengai disse:  “La mattina presto fa molto freddo, bada di non prenderti un raffreddore”. L’allievo non uscì più di notte.

(“101 storie Zen” Adelphi editore)

Sengai ci mostra come è possibile insegnare senza ricorrere alla punizione. Cosa fa Sengai? Egli riesce a vedere il mondo dal punto di vista del ragazzo e non si intestardisce a vederlo esclusivamente con i suoi occhi di maestro e di adulto. In ogni situazione ci sono almeno due “verita”. C’è  la “verità” del ragazzo, che vuole uscire, incontrare gli amici, divertirsi e c’è la “verità” del maestro che si preoccupa, che teme che il ragazzo possa mettersi nei guai e che deve vigilare su di lui. Solo muovendosi dialetticamente su queste due “verità ” Sengai trova una efficace “Via di mezzo”.

 

Giuliana Casti

Collera. (Disregolazione emotiva – impulsivita’)

Collera. (Disregolazione emotiva – impulsivita’)

Uno studente di Zen andò da Bankei e gli espose il suo problema. ” Maestro io ho certe collere irrefrenabili. Come posso guarirne?”.  “Hai qualcosa di molto strano davvero” disse Bankei, fammi vedere di che si tratta”. “Beh così su due piedi non posso fartelo vedere” rispose l’altro. “Quando potrai farmelo vedere?” domandò Bankei. “Salta fuori quando meno me lo aspetto” rispose lo studente. “Allora” concluse Bankei “non deve essere la tua vera natura. Se lo fosse, potresti mostrarmelo in qualunque momento. Quando sei nato non l’avevi e non te l’hanno dato i tuoi genitori. Pensaci un po’ sopra”.

(“101 storie Zen” Adelphi editore)

Quante volte ci siamo sentiti dire questa frase e quante volte l’abbiamo detta noi?  Suona così ” Io sono fatto così, non posso farci niente”. Ora, se è vero che il carattere è una componente essenziale nella personalità di ciascun individuo, è anche vero che non esiste un comportamento senza una causa. Il temperamento non è qualcosa da cui si può guarire.  Ciò che può essere “curato” è il comportamento, il modo di reagire agli eventi. Il comportamento non salta fuori quando meno lo si aspetta, ma è  sempre determinato da ciò  che lo  precede e dai fattori di vulnerabilità personali. Il maestro contrasta il concetto di “naturalità “, nel caso in cui sia possibile una scelta. Un cieco non può scegliere di vedere, ma può scegliere di non essere arrabbiato per questo.

 

Psicologo Cagliari

Raul 14 anni (Caso clinico)

FORMULAZIONE DEL CASO CLINICO ( nomi e fatti non corrispondono a terapie reali)
Raul, 14 ANNI, UN CASO DI GRAVE DISREGOLAZIONE EMOTIVA
MODELLO TEORICO UTILIZZATO DBT (Terapia Dialettico Comportamentale )
FORMULAZIONE DEL CASO CLINICO
Raul, 15 anni, un fratello di 11 anni (Alfonso), entrambi colombiani, adottati 4 anni fa, madre avvocato, padre impiegato di banca. Ultima classe frequentata la seconda media. Ha ripetuto la prima media e in seconda è stato bocciato.
BREVE STORIA PERSONALE
Raul e il fratello sono stati in istituto in Colombia per sei anni, precedentemente erano stati affidati alla nonna materna. La madre tossicodipendente e prostituta non si è mai presa cura di loro. Il padre di entrambi è sconosciuto. Alla morte della nonna sono stati affidati all’istituto. Non si hanno notizie della madre. Al momento dell’adozione non si sapeva se fosse viva o morta. Raul e Alfonso hanno un fratello e una sorella, di 12 e 8 anni, che sono stati adottati da un’altra famiglia.
Dopo l’adozione, avvenuta nel mese di aprile, i ragazzi a settembre hanno iniziato a frequentare la scuola. Raul è stato iscritto in quinta elementre e Alfonso in prima. La scelta di iscriverli immediatamente a scuola è stata favorita dall’apprendimento pressoché immediato della lingua italiana. I genitori adottivi hanno dato da subito molta importanza all’andamento scolastico, per cui hanno investito soldi e tempo affinché non ci fossero problemi. Ma evidentemente le abilità dei ragazzi, sia a livello conoscitivo che emotivo, erano state sovrastimate per cui ben presto hanno cominciato ad arrancare. I genitori hanno continuato ad incoraggiare, ma sempre nella direzione dei risultati attesi. Ciò ha determinato tra Raul e i genitori un conflitto sempre più insanabile e distruttivo. I genitori hanno oscillato, imprevedibilmente, tra un atteggiamento amorevole e di sostegno e un atteggiamento di critica e delusione. Al momento della richiesta d’aiuto i rapporti tra Raul e i genitori, soprattutto il padre, hanno raggiunto un tasso di aggressività , sia verbale che fisica, molto elevato.
Problematiche presenti all’invio – Analisi comportamentale
a) Ideazione suicidaria
b) Comportamenti rischiosi dipendenti dall’umore
c) Crisi frequenti e ricorrenti
d) Problemi relazionali con i pari
e) Rifiuto della scuola, bocciatura
f) Grave conflittualità con i membri della famiglia
STADIO DEL TRATTAMENTO
Stadio 1
Problemi che minacciano la vita
Problemi che minacciano la qualità della vita
DILEMMI DIALETTICI PER I GENITORI
Troppa severità versus troppa permessivita’
Promuovere l’autonomia versus favorire la dipendenza
Esagerare i problemi tipici dell’adolescenza versus minimizzare i comportamenti problematici
DILEMMI DIALETTICI DEL RAGAZZO
Passività attiva versus competenza apparente
Crisi ricorrenti versus inibizione delle esperienze dolorose
OBIETTIVI:
Per il ragazzo
a) Ridurre la reattività alle emozioni
b) Incrementare la modulazione delle emozioni
c) Incrementare un attivo problem solving
Per i genitori
a ) Incrementare l’identificazione dei comportamenti normali al fine di ridurne la patologizzazione
b) Incrementare la disciplina autorevole
c) Incrementare l’individuazione
1 Episodio esemplificativo
A) Raul sta aspettando con un compagno di squadra che inizi l’allenamento di judo. Insieme spezzano i rami di un albero piantato nel cortile della palestra.
B) Quando arrivano altre persone il compagno si allontana e si defila.
C) Raul si sente tradito, lasciato solo a rispondere del danno fatto e pensa ” Anche questa volta daranno tutta la colpa a me”. “Nessuno ascolterà la mia versione” . “Nessuno mi crede”.
D) Ha un’immagine di lui contro tutti
F) Raul aggredisce il compagno ed essendo più grosso di lui ha la meglio. Questo accresce negli altri la visione di Raul come ragazzo violento e cosi viene espulso dalla palestra. A questo punto i genitori che si erano mostrati molto delusi e arrabbiati, lo difendono, gli fanno dei regali e criticano la severità del maestro di judo.
2 Episodio esemplificativo
A) Raul esce con un cugino più giovane di lui, vanno in un supermercato e rubano dei dolci
B) Un sorvegliante li nota, li ferma e chiama i genitori
C) Il cugino nega di aver partecipato all’ideazione del furto e dice che l’idea è stata interamente di Raul
D) Anche se fortunatamente l’episodio non ha conseguenze legali, Raul viene ritenuto il solo responsabile e rimproverato e punito aspramente.
E) Raul pensa “Nessuno sta mai dalla mia parte” ” Tutti ce l’hanno con me” “Sono sbagliato”
“Staranno meglio senza di me”
E) Raul si dispera e si allontana da casa.
F) I genitori quando lo ritrovano lo consolano, lo portano in pizzeria e criticano i genitori del cugino che hanno accettato passivamente la versione del figlio.
Cosa hanno in comune questi due episodi?
TEORIA BIO SOCIALE
Le transazioni tra la biologia (disregolazione emotiva ) e l’ambiente (ambiente invalidante) creano e mantengono i comportamenti problematici.
Alta sensibilità + vulnerabilità a regolare le emozioni + ambiente invalidante = disregolazione emotiva pervasiva
VALUTAZIONE DEL PROBLEMA
a) Fattori di vulnerabilità
b) Evento scatenante
c) Collegamenti e passaggi successivi
d) Comportamento problematico
e) Conseguenze
f) risposte alternative
DOMANDE DA PORSI
a) Il cliente possiede le abilità necessarie nel suo repertorio?
b) È in grado di regolare le emozioni?
c) È in grado di tollerare lo stress?
d) Sa rispondere con efficacia ai conflitti interpersonali?
e) Quali circostanze rinforzano il problema comportamentale?
f) Quali emozioni interferiscono?
g) Quali convinzioni e assunzioni circa i risultati interferiscono?
Gli episodi vanno esaminati utilizzando la CATENA COMPORTAMENTALE
1) Analisi dettagliata e pragmatica degli eventi e dei fattori contestuali presenti prima e dopo il comportamento bersaglio
2) Chiedersi “Cosa è necessario avvenga nella sequenza affinché i comportamenti problematici non si verifichino e si possano ottenere i risultati desiderati?”
COME INTERVIENE LA TERAPIA DIALETTICO COMPORTAMENTALE
Il modello DBT, adattato agli adolescenti da Rathus e Miller (Cortina editore 2017), propone un intervento denominato “Skills training” che coinvolge alcuni nuclei familiari in cui sono presenti adolescenti che stentano a controllare le proprie emozioni e i propri comportamenti, anche in maniera molto grave. Nello Skills training vengono insegnate agli adolescenti e ai loro genitori le abilità mancanti, attraverso 5 moduli che, oltre all’attività didattica vera e propria , presentano una serie di schede che consentono alle persone coinvolte di esercitarsi e di rafforzare gli apprendimenti, denominati “compiti a casa” e monitorati settimanalmente . Il primo modulo insegna la mindfulnesss, volta principalmente ad acquisire i principi dell’accettazione e dell’osservazione non giudicante. Gli altri quattro moduli sono : 1) Abilità di tolleranza della sofferenza , 2) Percorrere il sentiero di mezzo, 3) abilità di efficacia interpersonale, 4) Abilità di regolazione delle emozioni. Con Raul e con i suoi genitori, fortemente provati da una relazione lacerata da profonde incomprensioni che riguardano non solo la relazione tra Raul e i suoi genitori, ma che sta duramente mettendo in crisi anche il rapporto tra i due genitori, sono stati inizialmente utilizzati i moduli di abilità di mindfulness e quello percorrere il sentiero di mezzo. I genitori, pur essendo estremamente presenti ed amorevoli, mostravano gravi difficoltà a mettersi nei panni di un adolescente, per lo più gravemente disregolato sia nelle emozioni che nei comportamenti. È stato perciò necessario iniziare rafforzando le abilità dialettiche , che consentono di arrivare al cambiamento attraverso l’accettazione. Sin dall’inizio sia Raul che il padre hanno presentato anche una grave difficoltà a regolare le emozioni. E per questo ci siamo serviti del modulo “Abilità di regolazione emotiva”.

LA BUCA – Una meditazione sull’ostinazione

LA BUCA – Una meditazione sull’ostinazione

Cosa accade quando ci ostiniamo a  percorrere una strada che non  funziona, che non porta a  niente di buono e che anzi ci  fa soffrire e vivere una vita non degna di essere vissuta? Cosa accade se ci rifiutiamo di accettare quello che non può essere cambiato, e contemporaneamente non facciamo nulla per cambiare ciò che può essere cambiato? Propongo un esercizio di mediazione intitolato “La buca” tratto dal libro  “ACT” di Hayes, Strosahl e Wilson ed. Cortina

“Ti propongo un esercizio mentale in modo da capire meglio la tua situazione. Immagina di trovarti in un campo con una benda negli occhi e di aver ricevuto una piccola borsa degli attrezzi. Ti viene detto che devi andare in giro per il campo con gli occhi bendati. Questo rappresenta il modo in cui immagini di vivere la tua vita. E così fai quello che ti viene detto. Ora a tua insaputa in questo campo ci sono una serie di buche ben distanziate tra loro e abbastanza profonde. Non lo sai, prima di incominciare sei inconsapevole. Quindi cominci ad andare in giro e prima o poi cadi in una buca di grandi dimensioni. TI aggiri a tentoni e quasi sicuramente non riesci ad uscirne.  È  fangoso e scivoloso, non riesci a trovare una via d’uscita. Riesci ad immaginare tutto questo?……… Come ti senti in una situazione del genere? probabilmente sarai scioccato ti sentirai sconvolto, lo sarei anch’io………. dunque immagina di trovarti lì che cosa fai?………… hai la borsa degli attrezzi che hai ricevuto, così forse cerchi di capire cosa contiene. Forse c’è qualcosa che puoi usare per uscire dalla buca. Sei sempre bendato ma ne tocchi il contenuto. C’è uno strumento in questa borsa, ma quello che ti è stato dato è una pala. Ma supponiamo che tu voglia disperatamente uscire dalla buca, che tu abbia cercato per ore di scalare la parete fangosa senza successo, cosa penseresti quando trovi la pala ?………………ti metti a scavare scavi scavi e il terriccio continua a scivolare verso il basso, pensi di fare piccoli gradini ma questi franano e quindi devi scavare di nuovo, cominci a sentirti esausto, sudato, respiri affannosamente. E dopo tutto questo scavare sei sfinito e ti ritrovi ancora più in fondo. Cosa provi? ……….

Possiamo dire che anche tu hai provato a tollerare di vivere nella buca aspettandoti che accada qualcosa di diverso. E non è certo divertente vivere in una buca. Ma se la pala non funziona e ancora non funziona allora è arrivato il momento di fare qualcos’altro magari cambiare programma. Forse potresti anche passare del tempo a chiederti come diavolo sei finita nella buca ma ti accorgi che  anche sapere questo non ti aiuta ad uscire dalla buca. Tutti gli strumenti che usi ti devono aiutare a uscire dalla buca e non ad andare più a fondo. Anche conoscere il passato non serve se non lo si usa per cambiare il presente perché oggi le cose vadano diversamente. Il disagio e la sofferenza sono occasioni per imparare a uscire dalla buca. Essi danno la spinta ad uscire dalla buca, ma per uscirne bisogna ascoltarli, sono loro che ci faranno trovare gli strumenti adatti ad uscirne”.

Psicoterapeuta Cagliari

Una parabola

Una parabola

(Una storia Zen che ci dice che la vita è perfetta così come è )

In un sutra Buddha raccontò una parabola. Un uomo che camminava per un campo si imbatte’ in una tigre. Si mise a correre tallonato dalla tigre. Giunto a un precipizio, si afferrò alla radice di una vite selvatica e si lasciò penzolare oltre l’orlo. La tigre lo fiutava dall’alto. Tremando l’uomo guardo giù, dove in fondo all’abisso un’altra tigre lo aspettava per divorarlo. Soltanto la vite lo reggeva. Due topi, uno bianco e uno nero, cominciarono a rosicchiare pian piano la vite. L’uomo scorse accanto a sè una bellissima fragola. Afferrandosi alla vite con una mano sola, con l’altra spicco’ la fragola. Com’era dolce!

(“101 storie Zen” Adelphi editore)

È  naturalmente molto difficile convincere una persona che sta vivendo un periodo di vita difficilissimo della validità di questo assunto. Eppure come anche ci ha insegnato Viktor  Frankl (“Lettere di un  sopravvissuto. Cosa mi ha salvato dal lager” Rubbettino editore) solo vivendo pienamente il momento che la vita ci riserva, a volte veramente nostro malgrado, possiamo cogliere l’importanza e il significato delle nostre azioni e della nostra presenza. Quando le possibilità di cambiamento, volto al raggiungimento di uno specifico risultato, sono molto ridotte, l’accettazione della realtà può rivelarsi l’unica ed efficace possibilità di realizzare un cambiamento. Questo processo però necessita di uno spostamento dell’obiettivo in modo flessibile ed adatto alle circostanze.

Il dolore fa parte del vivere

Rifiutare la realtà non serve a  cambiarla

Rifiutare la realtà trasforma il dolore in sofferenza

L’accettazione  può condurre alla tristezza, ma solitamente ne segue una profonda calma.

 

Psicologa Cagliari

La tazza da te

Una tazza di tè .

(Una storia Zen che parla di come sgombrare la mente da pregiudizi, congetture, convinzioni)

Nan-in, un maestro giapponese dell’era Meiji (1868-1912), ricevette la visita di un professore universitario che era andato da lui per interrogarlo sullo  Zen. Nan-in servì il tè.  Colmò la tazza del suo ospite e poi continuò a versare.  Il professore guardò traboccare il tè, poi non riuscì più a  contenersi.  “È ricolma non ce ne entra più!”. “Come questa tazza, ” disse Nan-in “tu sei ricolmo delle tue opinioni e congetture. Come posso spiegarti lo Zen , se prima non vuoti la tua tazza?”

(101 storie Zen – Adelphi edizioni )

La  mindfulness insegna a bilanciare la mente del fare con la mente dell’essere. Un corretto bilanciamento consente la formazione e la crescita della mente saggia.

La mente del fare è  quella che discrimina, è ambiziosa, è orientata agli obiettivi e quindi al futuro.

La mente dell’essere è curiosa, del nulla-da-fare ed è orientata al presente.

La mente saggia è in equilibrio tra fare ed essere, segue il sentiero di mezzo.

La mente del fare e la mente dell’essere, quando agiscono l’una all’insaputa dell’altra, tendono a  diventare dominanti ed ingombranti in maniera unilaterale. La prima vede i pensieri come fatti del mondo ed è  focalizzata totalmente sul problem solving e sul conseguimento dei risultati. La seconda vede i pensieri come sensazioni della mente. L’aspetto emotivo è dominante rispetto a quello razionale. Non essendo interessata al lungo termine, si focalizza sull’unicità di ogni istante, lasciando andare la concentrazione sugli obiettivi.

La mente saggia, quindi deve farsi spazio, come il tè nella tazza, ma nel farlo non annienta la mente del fare né quella dell’essere, trova la giusta proporzione. Essa è  infatti equilibrio tra il fare e l’essere, è  dialettica, si muove continuamente tra l’accettazione e il cambiamento.  Usa mezzi efficaci e, pur essendo interessata al raggiungimento degli obiettivi, non li segue a tutti i costi, eppure si dedica completamente nell’adoperarsi per raggiungerli.